30/09/2015
Mauro Lucentini
del Consiglio di Sicurezza dell’ONU più la Germania, da una parte, e l’Iran dall’altra, in materia nucleare potrà avere per gli Stati Uniti un effetto che molti analisti americani chiamano “trasformativo” sia sul piano interno che su quello estero. Sul piano interno perché, per la prima volta nella storia recente, la comunità ebraica americana si è rifiutata di seguire le istruzioni della lobby israelo-americana AIPAC, e così facendo è ritornata a quelle tradizioni progressiste e di pace che in ambedue le ultime elezioni presidenziali avevano concorso al successo di Obama con
il 70 per cento dei loro voti, la percentuale massima di qualsiasi comunità americana. Sul piano estero, perché l’accordo potrà significare un allineamento tra Iran e Stati Uniti anche rispetto a
tutti i maggiori centri di crisi del Medio Oriente, dallo Yeman all’Afganistan e dall’Iraq alla Siria e alla Palestina. Questo ravvicinamento potrà implicare anche un ravvicinamento con la Russia, che insieme all’Iran è il maggior sostegno del Governo siriano. L’obiettivo principale potrebbe essere una lotta comune contro lo Stato Islamico (ISIS). L’effetto distensivo dell’accordo sul
piano diplomatico potrebbe tuttavia aggiungersi alla crescente pressione internazionale sul Governo israeliano – che potrà prendere la forma, su iniziativa francese, di una decisione del
Consiglio di Sicurezza dell’ONU perché sia posto un termine all’occupazione del territorio palestinese – e convincerlo a tornare a seri negoziati con i palestinesi per la soluzione di un
conflitto, che sicuramente ha avuto e ha un effetto catalizzante su tutti gli altri fattori di crisi nella regione. È anche possibile che nel frattempo l’Autorità palestinese, in coincidenza con le
probabili dimissioni dell’ottantennte Presidente Abbas che da undici anni capeggia l’Autorità a titolo interinale, decida di abbandonare la sua temporanea collaborazione con il Governo d’Israele per l’amministrazione dei territori occupati. Questo sviluppo faciliterebbe una riconciliazione tra l’ala moderata Fatah che finora ha governato i palestinesi nel territorio transgiordano e l’ala militante Hamas che governa Gaza. A sua volta questo aumenterebbe la pressione per un accordo tra il Governo d’Israele e i Palestinesi sulla base della “soluzione bi-statale”, una soluzione che alcuni osservatori dichiarano a questo punto essere diventata impossibile, ma al tempo stesso indispensabile.
Ekaterina Entina
La ex Repubblica jugoslava di Macedonia ambisce a entrare nell’Unione Europea da almeno 15 anni. Inizialmente era il capofila dei paesi balcanici che aspiravano alla integrazione. Oggi Croazia, Serbia e Montenegro hanno superato questa posizione. Il suo processo di integrazione si è fermato per una serie di ragioni interne ed esterne. Ciò ha provocato un’aggravarsi della
situazione politica interna e ha aperto un conflitto politico e un’opposizione che si sono allargati nella prima metà del 2015. Il conflitto ha evidenziato le falle nelle politiche dell’Unione Europea,
perseguite all’interno del paese sia prima sia durante la crisi. Ultimamente questa è stata risolta, ma solo dopo il coinvolgimento degli Stati Uniti d’America. Il fallimento dell’Unione europea nel
risolvere le questioni sollevatesi nella zona, considerata appartenente alla sua area di responsabilità, evidenzia la profonda crisi della politica di integrazione europea. Questo articolo effettua
un’analisi delle questioni interne alla Macedonia attuale; sono evidenziate le sfide alla stabilità interna e regionale ed è proposto uno scenario alternativo per risolvere la situazione.
Massimo Castaldo
dei tre grandi, con gli Stati Uniti e l’URSS, che condussero la guerra alla vittoria e decisero con la pace le sorti dell’Europa, per più di mezzo secolo. I governanti inglesi pensarono di poter recuperare i possedimenti coloniali per le risorse necessarie alla ricostruzione della madrepatria. Si resero ben presto conto che l’Impero era perduto ed ebbero la saggezza di trasformarlo in Commonwealth di Stati indipendenti uniti sotto la corona britannica. Ma restarono convinti che il loro paese avesse interessi e responsabilità mondiali e non raccolsero l’invito della dichiarazione Schuman (1950) per la costituzione della Comunità del carbone e dell’acciaio (CECA). Il Governo conservatore di Anthony Eden rifiutò di partecipare alla conferenza di Messina e alla firma del trattato di Roma e la Gran Bretagna non fu quindi tra i fondatori della Comunità Economica
Europea. La fine ingloriosa della spedizione di Suez (1956) costrinse Eden a dimettersi. Il suo successore, Harold Macmillan, rovesciò la politica britannica nei confronti dell’Europa per
quattro ragioni: perché la potenza mondiale della Gran Bretagna stava tramontando e prevedeva l’ascesa della Cina; perché la Gran Bretagna aveva bisogno di incrementare il suo commercio con
l’Europa; perché essere membro della CEE avrebbe accresciuto l’importanza della Gran Bretagna agli occhi di Washington, dato che la “relazione speciale” con gli Stati Uniti si sarebbe esaurita;
perché la Germania stava tornando potente ed era necessario mantenere l’equilibrio della potenza in Europa. Presentò la domanda di ammissione alla CEE (1963) ma subì il veto della Francia di de Gaulle, il quale oppose il veto anche a una seconda domanda presentata da Londra nel 1967. Il Regno Unito poté divenire membro della CEE (dal 1993 Unione Europea) nel 1973. Nel negoziato per l’ammissione la Gran Bretagna dovette accettare una partecipazione finanziaria gravosa, poi ridotta con una dura battaglia dal Governo conservatore di Margaret Thatcher nel 1984. I dieci anni di attesa alla porta della Comunità e l'esosa contribuzione finanziaria accrebbero la tradizionale diffidenza britannica per l’Europa e il numero degli inglesi oppositori della permanenza della Gran Bretagna nell’Unione. Alla fine della sua carriera politica, Margaret Thatcher lasciò in eredità al partito conservatore la sua ostilità alla UE. Il Governo del New Labour di Tony Blair ripartì dai fondamenti geopolitici di Macmillan e partecipò attivamente alla politica di integrazione europea con l’ambizione di collocare il Regno Unito nel gruppo decisionale delle
maggiori potenze e, a questo fine, ambiva l’adesione del Regno Unito all’Eurozona. Ma per indecisione fallì l’obiettivo e l’opposizione del paese e del suo partito alla partecipazione da lui
voluta alla guerra americana in Iraq lo costrinse alle dimissioni. Le elezioni del 2010 hanno riportato al governo il partito conservatore e il Primo Ministro David Cameron è stato costretto da una combattiva fazione interna di euroscettici a negoziare nuove condizioni per la permanenza del Regno Unito nell’UE e ad indire un referendum al riguardo. Il referendum è stato fissato per la
fine del 2017 e Cameron si appresta ad aprire il negoziato con l’UE. Prima che ciò avvenga sarebbe utile uno scambio di idee dei membri più importanti dell’UE con Cameron sulla base
della strategia geopolitica di Macmillan.
Guido Ravasi
Le difficoltà tra Atene e l’Europa hanno ragioni più profonde rispetto alle questioni economicofinanziarie che sono drammaticamente venute alla ribalta e su cui si sono concentrati i riflettori dei media. Questo contributo prende le mosse dai recenti avvenimenti che hanno contraddistinto i negoziati tra Atene e l’Eurozona per risalire alle radici, soprattutto culturali, dei complessi e difficili rapporti tra la Grecia e l’UE. L’Autore presenta una sintesi dell’atteg giamento greco verso il processo di integrazione comunitaria, mostrandone una permanente ambivalenza di fondo. Tale ambivalenza è legata ad una contraddittoria identità della Grecia, profondamente divisa in se
stessa tra istanze anti- e filo- europee, tra Oriente e Occidente. Un ruolo particolare, da non sottovalutare, riveste l’Ortodossia orientale presente nella Penisola. La situazione di forte debito
estero della Grecia non è una vicenda inedita, ma si ripete storicamente, come anche un rispetto molto deficitario dei regolamenti comunitari. La Grecia risulta essere un partner particolarmente strano ed imprevedibile, non tanto per il fatto di anteporre gli interessi nazionali a quelli comunitari, ma perché non è stata finora in grado nemmeno di stabilire e «perseguire
coerentemente interessi nazionali chiaramente definiti». Il testo si conclude proponendo come cruciale la questione che emerge dal comunicato finale dell’Eurosummit del luglio scorso: la
ricostruzione della fiducia tra le istituzioni comunitarie e le autorità greche. Le radici storiche e culturali che sono state presentate nell’articolo non testimoniano a favore di un mutamento
dell’atteggiamento greco, ma non è inusuale che di fronte a questioni di sopravvivenza un paese possa cambiare la sua storia e costruire un nuovo destino.
Antonio Saccà
Riferendosi implicitamente alle celebri affermazioni di Adam Smith sul profitto quale fonte di vantaggio per chi rischia il capitale e per chi lavora come proletariato agli strumenti di produzione
del capitalista, ed attualizzando talune critiche di Karl Marx alla tesi del vantaggio reciproco del capitalista e del proletariato, l’Autore sostiene che oggi la tesi del vantaggio reciproco è falsata
dagli eventi, in specie dall’uso della tecnologia automatizzata, che elimina lavoratori senza alternativa di occupazione. Ne viene che il profitto odierno è contro l’occupazione, è un profitto disoccupativo che mette in condizioni insostenibili gran parte degli associati, al punto da scardinare l’idea stessa di Società, e questo in tutto il pianeta, anche perché l’internazionalizzazione dell’economia comporta una ripercussione vicendevole. Allo scopo di competere con Paesi a basso costo di produzione, altra novità con quella dell’innovazione tecnologica, le imprese abbassano i salari, affliggono lo Stato del benessere, impiegano massicce quantità di lavoro degli immigrati, sottopagandoli, o fuorilegge, specie in Italia, gravando di tasse i ceti medi accertabili fiscalmente. Ne viene un ulteriore malessere, la crisi dei consumi. Ed il malessere raggiunge
l’estremo con le speculazioni finanziarie che divorano i piccoli e medi risparmiatori. Il risultato è una Società che sembra tornata alla condizione della lotta per la sopravvivenza, come in Natura.
Per l’Autore l’unica prospettiva è riconoscere che il profitto crea disoccupazione e quindi occorre che lo scopo dell’impresa sia l’occupazione non il profitto, anzi il profitto che ha quale scopo
l’occupazione. Al dunque, è inconcepibile voler mantenere un sistema produttivo come in passato quando adesso un operaio fa produzione di molti. Questa diversità e le sue conseguenze ed i
possibili rimedi fanno il tema dello scritto.
Dieter Krimphove - Sven Barth
L’istituzione di un diritto individuale di protezione del fanciullo e in particolare di tutela contro la povertà infantile sembra essere assente nel diritto internazionale. Tuttavia dall’inizio del nuovo
secolo diversi soggetti internazionali, specialmente le organizzazioni internazionali, stanno tentando di rafforzare a livello internazionale la posizione giuridica dei fanciulli.
Ai nostri giorni il diritto di protezione dei predetti dalla povertà dovrebbe essere considerato come un bene comune poiché la mancanza di opportunità educative e di sviluppo, causata dalla povertà infantile, ostacola la prosperità sostenibile delle economie nazionali e la crescita economica.
Marialuisa Lucia Sergio
Uno dei principali effetti sistemici della distensione è stata la crisi dei partiti centristi di ispirazione cristiano-democratica, che avevano costruito la propria centralità nel sistema politico
dell’Europa continentale proprio sulla base dell’egemonia ideologica dell’anticomunismo democratico.
Va infatti osservato come il dialogo tra i blocchi abbia comportato una riduzione della preminenza dell’Europa occidentale negli schemi geopolitici e abbia così contribuito a destabilizzare i
democratici-cristiani europei, la cui identità era saldamente basata sul presupposto dell’indissolubilità tra europeismo e atlantismo.
Questa ricerca si propone di evidenziare le conseguenze politiche innescate dalla détente nelle principali aree nazionali in cui i partiti cristiano-democratici hanno agito (Germania e Italia).
L’articolo propone infatti un’analisi dei rapporti bilaterali fra Cdu e Dc e un esame comparativo delle loro rispettive modalità di risposta alla sfida della distensione, soprattutto in rapporto ai
grandi temi della trasformazione dello scenario europeo durante gli anni sessanta e agli inizi degli anni settanta: i rapporti con il blocco orientale, la crisi delle relazioni euro-americane, il
fondamentale cambiamento del sistema politico interno. La diversità delle strategie italiana e tedesca ha infatti determinato anche un differente approccio alla questione dei rapporti delle forze centriste europee con i movimenti conservatori, in particolare quello britannico. Un’ampia documentazione (proveniente da Konrad-Adenauer-Stiftung, Bodleian Library - University of
Oxford, Historical Archives of the European Communities, Fondazione Istituto Sturzo, Senato della Repubblica) aiuta a ricostruire le strategie di politica internazionale della Cdu e della Dc all’interno dell’Unione Europea Democratica Cristiana (UEDC) e consente una migliore comprensione delle loro possibilità di sopravvivenza politica a lungo termine in uno scenario geopolitico
mutato, caratterizzato dalla dissoluzione dell’unità politica dei cattolici e dall’emergere di istanze conservatrici nell’elettorato moderato.
Chiara d'Auria
L’esperienza politica di Rodrigo Facio Brenes, uno dei padri fondatori della Repubblica di Costa Rica e della socialdemocrazia costaricana, è analizzato nel saggio attraverso la principale fonte
del suo pensiero, la rivista «Surco», di cui fu egli stesso fondatore. L’impegno politico ed intellettuale e la carriera accademica di Facio costituiscono lo sfondo su cui svolse a sua azione tra gli anni Trenta e i primi anni Sessanta del Novecento, per la quale ancora oggi Facio è considerato tra le più importanti figure nella storia politica del piccolo Stato centroamericano.